Il Continente è al centro dell’attenzione delle grandi potenze, per le opportunità che offre, ma è anche il punto critico delle politiche di sostenibilità. Come ben sanno i nostri volontari impegnati contro fame e malattie.
di Donato Speroni
La copertina di questa settimana dell’Economist è dedicata “alla grande corsa per l’Africa”. Gli elementi ci sono tutti: entro il 2025 la popolazione africana supererà quella cinese; tutti i grandi Paesi stanno facendo a gara per rafforzare la loro presenza nel Continente, tanto che dal 2010 al 2016 sono state aperte oltre 320 nuove ambasciate; nonostante la crescita demografica e mille crisi anche violente, il reddito pro capite a sud del Sahara è aumentato del 40% dal 2000, troppo poco per portare milioni di persone fuori dalla povertà visti i livelli di partenza, ma comunque un risultato significativo. L’Africa attira, e ci sono Paesi che si stanno muovendo con maggiore determinazione. Non solo la Cina, della quale sono noti i massicci investimenti, ma anche l’India, balzata al secondo posto nell’interscambio con i Paesi africani, la Turchia le cui linee aeree raggiungono 50 città nel continente, la Russia che ha moltiplicato gli accordi militari.
Cresce anche la maturità politica dei popoli, perché l’aumento dell’educazione dei giovani e lo spostamento dalle aree rurali alle città fa sì che gli africani stiano diventando più critici nei confronti dei loro governanti spesso corrotti e che abbiamo meno paura di esprimersi apertamente. Quanto sta accadendo in Algeria ne è una conferma. Anche se la Cina, dice l’Economist, cerca di fare accordi sottobanco con gli uomini forti dei vari regimi, sostenendo che lo sviluppo richiede il pugno duro, uno studio di Takaaki Masaki della Banca mondiale e di Nicolas van de Walle della Cornell university dimostra che i Paesi africani crescono di più se sono più democratici.
L’Europa e i suoi valori sono nel cuore di molti giovani africani, ma l’Europa fa abbastanza per l’Africa? [continua a leggere]
|